mercoledì 28 luglio 2010

Dr Smaca & Mr Fam

Premessa:
1° Principio della dinamica (Enunciazione di F. Scudieri)
Un sistema di riferimento inerziale è quello in cui un corpo non sottoposto ad alcuna forza permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Corollario 1
La cucina non è un sistema di riferimento inerziale
Corollario 2
No, nemmeno l’angolo cottura

Una mia amica trentina mi ha riportato alla mente lo Smacafam, una delizia carnascialesca tipica di quei luoghi, e fin qui tutto bene… L’incauta, però, ha pubblicato anche la ricetta: avrei mai potuto resistere alla tentazione di provare? Certo che sì, ma ora non stareste leggendo questa cronaca.
Atto Primo, La Preparazione.
Personaggi: l’ingegnere, la trentina, il suino vendicatore
Alla fin fine, sono pur sempre un ingegnere, quindi una meticolosa preparazione di tutto l’occorrente PRIMA di iniziare il lavoro è scritta nel mio corredo genetico. Le macerie DOPO, purtroppo, anche…
Non appena è tutto pronto, si parte. Verso le farine nel recipiente apposito, ed inizio ad aggiungere il latte mescolando allegramente… Nel frattempo aggiungo olio sale e pepe e continuo a mescolare, ma l’impasto mi appare ancora troppo liquido… Capisco che non si sente a suo agio per via della latitudine, e corro ai ripari: recupero un MP3 in cui la suddetta amica vezzosamente ripete la parola “speck”. Dopo un’estenuante sessione di apprendimento logofonetico, ottengo una pronuncia accettabile e torno in cucina a mescolare. Rinvigorito dalla favella amica, l’impasto prende finalmente consistenza… e alè!
Ora la ricetta prevede di aggiungere una luganega fresca sminuzzata, e qui devo aprire una parentesi. Chi ha mangiato con me almeno una volta, sa che io sono uno “psicovegetariano”. Mi spiego… riesco a mangiare la carne solo se posso ragionevolmente illudermi che quello che c’è nel mio piatto non sia un animale morto. Ora, immaginare un albero di fettine panate od un arbusto che produca, invece delle bacche, polpettine al sugo, è alla portata della mia mente; al contrario, quando mi presentano una bistecca talmente sanguinolenta da indurre a pensare che un bravo veterinario potrebbe ancora salvarla, il mio esofago si contrae, e sono costretto a declinare. Potete quindi immaginare il mio stato d’animo mentre taglio il budello della luganega ed inizio a sminuzzarla con le mani. Sebbene senta alle mie spalle l’ombra del suino vendicatore, con la falce fissata all’arto ongulato, la determinazione è forte, e stoicamente termino l’operazione senza voltarmi.
Atto Secondo, la cottura
Personaggi: l’ego gastronomico, il campanellino del forno, Re Salomone
Da qui è tutto in discesa, la pancetta è già cubettata e non mi impressiona, e dopo una passata con la frusta elettrica, l’impasto è cremoso ed omogeneo. Imburro e infarino la teglia, accennando due passi di yodel tanto per restare in tema, e verso il prezioso liquido… Decoro con la restante luganega tagliata a fette ed i cubetti di pancetta, ed inizio ad esaltarmi per il risultato… Rinuncio malvolentieri all’idea di disegnare con uno stuzzicadenti i contorni del Trentino sull’impasto, perché mi rendo conto che sto esagerando, e con gesto coreografico ficco in forno preriscaldato a 200 gradi esatti…
Dopo un po’, nonostante l’assenza di lievito, l’impasto inizia a gonfiarsi (da qui la premessa sulla dinamica della cucina), di pari passo con il mio ego gastronomico… Nonostante il fenomeno inspiegabile, e aiutato dall’odore fantastico che inizia a diffondersi, cado in preda ad un’esaltazione mistica e inizio a guardarmi le mani, artefici di cotanto magico capolavoro. Dopo quaranta minuti, il campanellino del forno mi avverte che la cottura è terminata, ed inizio a rimirarmi la creatura (sono quasi sicuro che in quel momento ho pensato che avrei dovuto darle un nome), ma qui il primo dubbio mi assale: aprire lo sportello o lasciarla raffreddare nel forno spento? Decido per ora di lasciare chiuso, ma dopo dieci minuti sono costretto ad uscire per il pranzo domenicale col parentame, e opto per una decisione salomonica… apro uno spiraglietto ed esco, mentre l’effluvio si spande per tutta la casa.
Atto Terzo, L’Orrore
Personaggi: la medusa, Munch, la costante di gravitazione universale
Non potevo sospettare l’orrore che mi attendeva al rientro… Non mi levo nemmeno la giacca, vado subito in cucina a controllare il mio capolavoro culinario e…. AAAAARGHHHHH!!! Ciò che prima si protendeva verso il cielo in un anelito di elevazione spirituale, una Pentecoste pagana ed olezzante, giace ora accasciato nella teglia come una medusa spiaggiata! Il mio volto si contrae in una smorfia tipo l’urlo di Munch, ed il mio ego si sgretola sotto i colpi della gravità cinica e beffarda. Buio e Silenzio.
Ultimo Atto, l’Ostinazione
Personaggi: gli amici a cena, il metodo scientifico, il vino rosso
Nonostante tutto, decido che l’esperimento merita, per amor del metodo scientifico, la prova finale della forchetta. Così estraggo la medusa dalla teglia e la adagio su un vassoio. Contro ogni legge del buon senso, ostinatamente la presento come antipasto, valutando che, qualora fosse immangiabile, almeno gli amici si consoleranno con il resto della cena. All’esame autoptico, il celenterato scifozoo si presenta di consistenza croccante sulla superficie e morbida all’interno (tipo gateau di patate, per capirci); non lo ricordavo così, ma l’aspetto non è male. Prima di servire, riempio comunque i calici di un vino rosso con molto corpo, e li costringo a bere improvvisando un brindisi improbabile, al solo scopo di inibire le loro papille gustative.
Poi assaggiano, ed accade l’imponderabile: gli amici sembrano apprezzare! Imputo l’accaduto al vino ed alla cortesia che si deve ai padroni di casa, ed assaggio anch’io: il sapore è buono, anche se la consistenza spugnosa dell’interno dovuta all’inaspettata implosione è un po’ fastidiosa… Lo smacafam, incredibilmente, sparisce in poco tempo, e la cena prosegue senza visibili conseguenze.
Conclusione
Ci potrei riprovare, ma non so se ne avrò il coraggio… e sicuramente non quando ho gente a cena!

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