lunedì 6 settembre 2010

Diavolina

Non mi piace usare la diavolina per accendere il fuoco, lo trovo.. ecco, un po’ come barare...
Nella vecchia casa di pietra di un piccolo paese di montagna, il camino deve essere preparato con cura: un grosso ciocco in fondo, che si consumerà lentamente per fare la brace, due rami ben robusti ai lati, per dare solidità e contenere… poi l’innesco: prima un po’ di carta, quella dei vecchi quotidiani mezzo ingialliti che sono stati conservati all’uopo; non profumano più di rotative o di inchiostro, ma di legnaia e muschio fresco, e a volte ti restituiscono lampi di notizie che sorprendono, ma non feriscono, perché appartengono ad un altro tempo. Vanno appallottolati, quei fogli, valutandone l’umidità tra i polpastrelli, e sistemati al centro, sulle grate di areazione, non troppo pressati, non troppo vicini. Poi un po’ di “fraschette”: corteccia di castagno, residui di piallature, trucioli di denti di sega, un paio di pigne (1), qualche rametto secco di ginepro… intorno alla carta, sopra, ma senza soffocare. Poi ancora i legnetti più esili, perché prendan fuoco facilmente alimentati dalla carta, ma il loro calore sia più intenso e meno effimero, per vincere l’inerzia dei legni più grandi, ed accenderli lentamente. Vanno appoggiati sul ciocco grande e sui due rami robusti che formano l’alveo, perché la carta e le fraschette si consumeranno in fretta, e li lascerebbero cadere al centro dove si consumerebbero senza propagare il fuoco. Infine, via via dei rami sempre più robusti. E poi un fiammifero, due al massimo. Qualche volta funziona, la fiammella si nutre e si espande, altre volte soffoca in un alone buastro, e bisogna ricominciare. Ma è un fallimento buono, perché nella natura dell’alchimia non c’è la garanzia del risultato. Non ci sono lutti da elaborare, solo la consapevolezza che potremmo aver sbagliato qualcosa, ma forse davvero no… forse la legna umida richiede un altro po’ di calore prima di reagire, e la voglia di ricominciare.
A volte succede che il ciocco è lì, pronto a potente, e ha in sé tutto il calore che serve per scaldare le mura fredde di pietra, ma di fraschette proprio non ce n’è più, e bisogna tornare nel bosco a cercarne… ma, si sa, i boschi sono bellissimi la notte, scuri e profondi…



(1)
Sì, lo so, la resina di pino quando brucia produce (oltre ad un profumo eccezionale, acre e pungente) delle particelle cancerogene per inalazione… ma non è che anche gli idrocarburi incombusti della diavolina siano esattamente l’ideale per farsi un aerosol, eh…

1 commento:

  1. il profumo della resina, sia fresca che nel fuoco, i riflessi delle fiamme sulle pietre del camino, i calore che avanza a onde... che voglia di un bel fuoco in baita! e i boschi notturni sono amici, si sa

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